Il clima incattivito degli ultimi anni sembra non far rinsavire la politica planetaria.
Dalle Filippine alla Sardegna passando per il Midwest statunitense l’avviso è più che chiaro.
Eppure sembra che vi sia una sorta di abitudine, di assuefazione ai disastri e al fatto di considerarli fenomeni straordinari e scollegati dalle azioni antropiche, dalle infrastrutture che si programmano e incrementano in una logica malata di profitto.
Anni e anni di devastazione del territorio, nemmeno l’aggravante delle piogge mortali dovute al cambiamento climatico basta a incentivare un barlume di cambiamento nelle logiche decisorie.
Al primo posto resta dominante l’accoppiata cemento-asfalto e carbone (follia suprema) promosso addirittura a Varsavia durante la conferenza Onu che doveva discutere dell’abbattimento delle emissioni serra.
Anche la deforestazione è un fattore pesante di alterazione climatica e il fatto che vi sia stata una massiccia ripresa della deforestazione amazzonica è, oltre che il solito, inequivocabile, segnale di ottusa indifferenza politica, anche un campanello d'allarme per i futuri fenomeni climatici.
Le foreste italiane sono una cassaforte di carbonio: ne contengono circa 4 volte quello che viene emesso annualmente nel nostro Paese.
E ogni albero tagliato aggiunge un po' di forza, di violenza in più ai tifoni, agli uragani, incrementa in modo abnorme le precipitazioni piovose, rende più aridi ed estesi i deserti.
Da noi si costruisce sopra i greti delle fiumare tombinate, si progettano e realizzano inutili centri commerciali, si fanno leggi per realizzare nuovi stadi (in un’Italia con le pezze al culo, per giunta), si raccolgono 43,88 miliardi di tasse “ecologiche” (dato del solo 2011) destinate alla sicurezza ambientale e se ne investono nella stessa appena 448 milioni.
Dopo l’Expò, le TAV, i corridoi del baccalà (Adriatico-Baltico), si pensa a nuove olimpiadi per cementificare un altro po’ in un Paese dove il 10% del territorio e circa 6 milioni di persone sono sotto costante minaccia idrogeologica e occuparsi di questo già sarebbe una buona idea per il rilancio dell’economia senza devastazioni ulteriori.
Invece la natura sembra essere considerata un optional fastidioso e ingombrante e gli alberi solo un ostacolo da eliminare sulla via dello sviluppo che affonda la sua filosofia nel settecento.
Nell'isola di Pasqua gli abitanti distrussero tutta la vegetazione arborea per costruire i Moai, i giganteschi totem in pietra, e poi si estinsero proprio a causa di questo.
Ognuno ha i propri totem, purtroppo.
Vanni Destro
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